Il piccolo e raccolto abitato di Malavedo è un crocevia di viuzze che si snodano attorno alla caratteristica chiesa di sant’Antonio Abate, realizzata in stile romanico lombardo. La dedicazione dell’edificio al patrono, tra gli altri, dei cavallanti e dei mercanti, segnala che Malavedo sorgeva su una peculiare via di traffico: quella diretta in Valsassina.

Osservando nel complesso il rione, spicca con chiarezza il suo forte legame con il ferro: infatti, come i vicini centri che sorgono nella valle del Gerenzone (San Giovanni, Rancio e Laorca), nel corso dell’Ottocento Malavedo fu interessato dall’intenso sviluppo dell’industria. Il rione in questione, in particolare, fu la culla ove si concentrarono alcune delle più importanti aziende della zona. Queste, ancora totalmente destinate alla lavorazione del ferro, appartenevano a importanti famiglie di imprenditori delle città: tra di esse spiccavano i Falck, celebri per aver fatto fortuna con le loro grandi imprese, di lì a poco, alle porte di Milano.

Nella Galleria Comunale d’Arte – Sezione d’Arte Moderna, ospitata a Palazzo delle Paure, un dipinto del celebre pittore Orlando Sora immortala proprio le ciminiere che scandiscono l’orizzonte di Malavedo. Un rione in cui, nel riverbero dello spumeggiante fragore delle acque del Gerenzone, pare ancora di udire i forti colpi di magli e il rimbombo delle infinite officine che lo hanno connotato da sempre. 

Soprannome abitanti: Pécen, ovvero “pettini”. Il termine, che è diventato soprannome degli abitanti del rione, indica, per contrasto, persone che non si vestono con particolare cura e gusto. 
Da non perdere: una passeggiata tra le viuzze del rione, che “parlano” ancora una lingua appartenente al passato, tra le case dai caratteri arcaici dove abbonda la pietra locale. Le Trafilerie di Malavedo, molto significative per l’unitarietà dell’insieme, sono tuttora interamente destinate alla lavorazione del ferro. A ridosso della chiesa di sant’Antonio, invece, il complesso residenziale che si è sviluppato nel corpo di un’antica cartiera risalente alla tarda metà dell’Ottocento è un segno di come il passato, e quindi l’archeologia industriale, possa conservarsi in seno al presente. 

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